Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/306

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dermela co’ tuoi fratelli, infelice Kodadad? A me sola debbo imputare la tua morte: volesti unire il tuo destino al mio, e tutta la sciagura che con me trascino dacchè uscii dal palazzo di mio padre, si è versata sopra di te. O cielo, che mi condannasti ad una vita errante e sventurata, se non volevi che avessi sposo, perchè permettere che ne trovassi? Eccone già due che mi togli, nel tempo che comincio ad affezionarmi a loro. —

«Con simili e più commoventi discorsi la desolata principessa di Deryabar esprimeva il proprio dolore guardando il misero Kodadad, che non poteva intenderla. Non era però morto, e sua moglie, essendosi accorta che respirava ancora, corse verso una grossa borgata, cui vide nella pianura, per cercarvi un chirurgo. Glie ne insegnarono uno, il quale partì all’istante con lei; ma giunti sotto la tenda, più non vi trovarono Kodadad; talchè, giudicando che qualche bestia feroce l’avesse portato via per divorarlo, la principessa ricominciò i pianti e le querele nel più compassionevole modo, tanto che il chirurgo, inteneritosene, e non volendo abbandonarla nel terribile stato in cui la vedeva, le propose di tornare al borgo, e le offrì la sua casa ed i suoi servigi.

«Si lasciò quella trascinare: il chirurgo la condusse a casa, e senza sapere ancora chi fosse, la trattò con tutti i riguardi e col maggior rispetto. Procurava co’ suoi discorsi di consolarla, ma ebbe un bel combattere il di lei dolore, non facendo che inasprirlo invece di alleviarlo. — Signora,» le disse un giorno, «narratemi, di grazia, tutte le vostre sventure; ditemi di qual paese siete e di qual condizione: forse potrò darvi buoni consigli, quando sia istruito di tutte le circostanze del vostro infortunio. Voi non fate che affliggervi, senza pensare che trovar si ponno nmedi ai più disperati mali. —