Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/421

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san gli andò incontro, e baciandogli rispettosamente la mano: — Signore,» gli disse, sospirando e gemendo, «voi mi trovate nella massima afflizione che potesse mai accadermi per la morte di Nuzhatul-Auadat, mia diletta sposa, che onoravate della vostra bontà. —

«Intenerito Mesrur a quel discorso, non si potè trattener dall’offrire alla memoria della defunta il tributo di qualche lagrima. Sollevò un poco il drappo mortuario dal lato della testa per guardarle il viso che stava scoperto, e lasciandolo andare appena l’ebbe veduta: — Non v’ha altro Dio che Dio,» disse con un profondo sospiro. «Dobbiamo sottometterci tutti alla sua volontà, ed ogni creatura deve tornare al di lui grembo. Nuzhatul-Auadat, mia buona sorella,» soggiunse sospirando, «ben di poca durata fu il tuo destino! Dio ti usi misericordia!» Voltosi poscia ad Abu Hassan, che struggevasi in lagrime: «Non è senza ragione,» continuò, «se si dice che le donne cadono talvolta in astrazioni di spirito imperdonabili, e Zobeide, benchè mia buona padrona, è in tal caso. Essa volle sostenere al califfo, che voi eravate morto, e non vostra moglie; e per qualunque cosa le abbia potuto dire in contrario il califfo onde persuaderla, assicurandole anche la cosa sul serio, non vi è mai potuto riuscire. Mi ha perfino citato a testimonio per attestarle questa verità e confermargliela, poichè, come sapete, io mi trovava presente quando veniste a recargli la dolorosa nuova; ma tutto fu inutile. E duravano d’ambe le parti in un’ostinazione che non avrebbe finito, se il califfo, per convincere Zobeide, non si fosse determinato di mandarmi a voi per saper di nuovo la verità. Ma temo di non riuscire, poichè da qualunque lato si possano oggidì prendere le donne per far loro intendere le cose, sono esse d’una caparbietà insuperabile, quando siano una volta prevenute d’un sentimento contrario.