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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/544

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la piazza coi maggiori schiamazzi che non avessero ancor fatto, burlandosi, secondo essi, della bestialità del mago. Ma costui li lasciò schiamazzare a loro talento, e non trattenendosi più oltre nei contorni del palazzo di Aladino, se ne allontanò bel bello e senza strepito, cioè senza più gridare, nè parlar altro di cambiar lucerne nuovo colle vecchie. Non ne volava altra fuor di quella che portava seco, ed il suo silenzio fece in fine che i fanciulli si sbandassero e lo lasciassero andare.

«Quando si trovò fuor della piazza che stava in mezzo ai due palazzi, fuggì per le strade più remote, e non avendo più bisogno nè d’altre lucerne, nè di paniere, depose questo e quelle nel bel mezzo d’una via, dove osservò non esservi alcuno; indi, avviatosi per un’altra contrada, affrettò il passo finchè giunse ad una delle porte della città. Quivi, continuando il cammino pel sobborgo, ch’era lunghissimo, fece, prima di uscirne, alcune provvisioni, e quando fu nella campagna, si diresse verso un luogo appartato, fuor della vista della gente, ove rimase fin al momento, che stimò opportuno, onde ultimare l’esecuzione del disegno che avevalo condotto in quel paese. Non si dolse del barbero che lasciava nel khan, dove aveva preso alloggio, credendosene a sufficienza indennizzato col tesoro acquistato.

«Il mago passò il resto del giorno in quel luogo sino ad un’ora di notte, quand’erano più oscure le tenebre, ed allora tratta di seno la lucerna, la fregò. A quella chiamata, il genio comparve.

«— Che vuoi tu?» gli chiese; «eccomi pronto ad obbedirti come schiavo tuo e di tutti quelli che hanno la lucerna in mano, io e gli altri suoi schiavi.

«— Io ti comando,» riprese il negromante, «che in questo stesso punto tu levi il palazzo, da te o dagli altri schiavi della lucerna fabbricato in questa