Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/613

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nuò sempre a mangiare in pari modo; e per darmi maggior noia, non mangiò più riso se non a lunghi intervalli; ed invece di gustare delle altre vivande con me, si accontentò di mettersi in bocca di tempo in tempo un po’ di pane sminuzzato, presso a poco quanto ne avrebbe potuto prendere un passero.

«Quell’ostinazione mi scandalizzò. Immaginai non dimeno, per farle piacere e scusarla, che non fosse avvezza a mangiare con uomini, ed ancor meno con un marito, davanti al quale avevanle forse insegnato di dover osservare un contegno cui ella, per semplicità, spingeva tropp’oltre. Credetti pure che potesse aver fatto colazione; oppure che, se non l’avesse fatta, si riservasse di mangiare poi sola in libertà. Tali considerazioni m’impedirono dal dirle altra cosa che potesse intimidirla, o di esternarle alcun segno di malcontento; dopo il pranzo, la lasciai allo stesso modo, come se non m’avesse dato motivo di essere poco soddisfatto delle sue maniere più che straordinarie.

«La sera, a cena, avvenne la medesima cosa; e al domani, e tutte le volte che mangiammo insieme, comportossi nella stessa guisa. Io ben vedeva non essere possibile che una donna potesse vivere collo scarso cibo ch’ella prendevate doverci essere sotto qualche mistero da me ignorato: ciò m’indusse a prendere il partito di dissimulare. Finsi di non far attenzione alle sue azioni, colla speranza che il tempo avrebbela abituata a vivere meco, com’io desiderava; ma vana fu la mia speranza, e non fui molto tempo a rimanerne convinto.

«Una notte che Amina credeami profondamente addormentato, si alzò pian piano, e notai che vestivasi con somma precauzione per non far rumore, temendo di destarmi. Non potea comprendere a quale scopo turbasse ella così il suo riposo, e la curiosità di