Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/110

Da Wikisource.

98


mani, gridò: — Uccello, ti tengo tuo malgrado, nè mi fuggirai. —

«Mentre Parizade levava il cotone che chiudeale le orecchie: — Valorosa dama,» le disse l’uccello, «non vogliate odiarmi perchè mi sia unito a coloro che facevano tutti gli sforzi per la conservazione della mia libertà. Benchè chiuso in una gabbia, io non lasciava d’essere contento della mia sorte; ma destinato a diventare schiavo, preferisco aver voi per padrona, voi che mi conquistaste con sì alto coraggio degno di ogn’altro mortale, e sino da questo punto vi giuro inviolabile fedeltà, e sommessione intera a tutti i vostri comandi. So chi siete, e vi dirò inoltre che non conoscete voi medesima per quella che siete in fatti; ma verrà giorno, in cui vi presterò un servigio pel quale spero mi sarete grata. Onde cominciare a darvi prova della mia sincerità, fatemi sapere cosa desiderate, ch’io son pronto ad obbedirvi. —

«La principessa, piena d’inesprimibile gioia, tanto più pensando che la conquista fatta le costava la morte di due fratelli teneramente amati, e ad essa medesima tanti stenti ed un pericolo di cui, dopo esserne scampata, conosceva la grandezza meglio che prima di cimentarvisi, nonostante le opposizioni fatte dal dervis, disse all’uccello, quando questi ebbe cessato di parlare: — Uccello, era ben mia intenzione mostrarti che bramo parecchie cose dell’ultima importanza per me, e sono lietissima che tu mi abbia prevenuta coll’attestazione del tuo buon volere. Primieramente, so che qui si trova un’acqua gialla di meravigliosa proprietà; prima d’ogni altra cosa, ti chiedo d’insegnarmi dov’è. —

«L’uccello le mostrò il sito, che non era molto lontano; essa vi si recò, e ne riempì un’ampolla d’argento da lei portata. Tornò quindi alla bestiuola, e gli disse: — Uccello, non basta; cerco anche l’albero che canta; dimmi dov’è. —