Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/121

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riamo che vostra maestà ce lo voglia perdonare. — Ciò non v’inquieti,» riprese il sultano; «lungi dal dispiacermi quanto faceste, lo approvo tanto, che spero avrete per la mia persona la medesima deferenza, per poco ch’io abbia parte nella vostra amicizia.» I principi, confusi della bontà del sultano, non risposero se non con un profondo inchino, onde manifestargli l’intimo rispetto, col quale la ricevevano.

«Il sultano in quel giorno non rimase molto, contro il solito, alla caccia. Avendo stimato che i principi non fossero meno forniti di spirito che di valore e bravura, l’impazienza d’intertenersi con maggior libertà fece che sollecitasse il ritorno. Egli volle che per via gli stessero a fianco: onore che, senza parlare dei primari cortigiani che l’accompagnavano, cagionò gelosia al primo visir, che rimase mortificato di vederseli camminare davanti.

«Entrato il sultano nella capitale, il popolo, di cui erano assiepate le vie, teneva gli occhi fitti sui due fratelli, chiedendo chi potessero essere, se stranieri o del regno. — Chiunque siano,» diceva la maggior parte, «volesse Iddio che il sultano ci avesse dati due principi sì belli e di leggiadro aspetto! Potrebbe averne all’incirca della medesima età, se fossero stati felici i parti della sultana, che ne soffre da sì gran tempo la pena. —

«La prima cosa che, giungendo al palazzo, fece il monarca, fu di condurre i giovani ne’ principali appartamenti, de’ quali essi lodarono la bellezza, la magnificenza, le suppellettili, gli ornamenti e la simmetria, senza alienazione e da gente che se ne intendevano. In fine fu servita una refezione magnifica, ed il sultano li fece sedere alla propria mensa; essi volevano scusarsene, ma quando il re ebbe loro manifestate la sua volontà, obbedirono.

«Il sultano, uomo di molto spirito, e dottissimo