Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/296

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«bisogna ch’io la prevenga e cerchi il mezzo di perderla, onde impedire che il re ascolti ciò che essa potrebbe dirgli. —

«Presa tale risoluzione, si presentò al re appena fu di ritorno. Dadbin gli volse dapprima alcune domande sugli affari dello stato; Cardan lo soddisfece, indi aggiunse:

«— Voi vedete, o sire, che la tranquillità fu mantenuta, e resa esatta giustizia durante la vostra assenza. Un solo avvenimento potrà affliggervi, ed io non oso palesarvelo; ma temo altri non ve ne rendano avvertito, e mi rimproveriate così d’aver mancato alla fiducia che in me riponeste.

«— Parla liberamente,» disse il re; «conosco la tua affezione per me e l’amor tuo per la verità: non avrei in un altro la fede che in te ripongo.

«— Sire,» continuò Cardan, «quella sposa che voi amate tanto, che preferite a tutte le sue rivali, di cui ammirate la dolcezza, la modestia, la pietà, che digiuna e prega con tanta esattezza e fervore, ha dimostrato che tutto queste belle apparenze non sono che falsità ed ipocrisia, e nascondono un’anima vile e corrotta. — Come!» sclamò il re fremendo; «che vuoi dir tu?

«— Sire,» prosegui il perfido Cardan, «pochi giorni dopo la partenza di vostra maestà, una donna della regina venne a cercarmi segretamente, e m’introdusse in un gabinetto che metteva nelle stanze di Aroa. Io la vidi sdraiata su di un sofà vicino ad Abokhair, quel giovane schiavo che apparteneva al suo genitore, e che voi colmaste di benefizi; essi conversavano assieme famigliarmente, dimostrandosi a vicenda la più viva tenerezza.

«— Basta, basta,» interruppe Dadbin; «io t’incarico di far istrangolare Abokhair, ma voglio ordinare io stesso il giusto castigo della perfida. —