Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/141

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tano, il quale desiderò di, vedere il supposto mostro. Il giovane fu quindi condotto al palazzo, dove tutta la corte lo contemplò colla maggior maraviglia, e venne poscia menato nell’harem onde soddisfare alla curiosità delle donne. Là ei vide la principessa, e rimase talmente abbagliato della di lei avvenenza, che giurò di darsi la morte se non poteva ottenerne la mano.

«Uscendo dal palazzo, tornò dal maestro più invaghito che mai della figlia del sultano. Quando l’eremita lo scorse, gli chiese se avesse veduto la principessa. — Sì,» rispose, «la vidi: ma un’occhiata non basta per mirare tante attrattive, e non avrò riposo se non quando, seduto al suo fianco, gli occhi miei saranno stanchi dal contemplarla. — Aimè! figlio,» sclamò il vecchio, «io tremo per la quiete dell’anima tua. Noi siamo religiosi, e dobbiamo evitare le tentazioni; d’altra parte, te lo ripeto, non ci conviene aver da fare col sultano. — Ahi padre mio,» sclamò il giovane, «se non giungo a sederle al fianco e stringerla al cuore, non avrò più che a morire. —

«Tali espressioni costernarono il saggio uomo. — Su via,» disse fra sè, «facciamo il possibile per salvare questo diletto figliuolo; d’altronde, Iddio esaudirà, forse i suoi voti.» Gli stropicciò allora gli occhi con un collirio che aveva la virtù di render invisibile, e gli disse: — Va, figliuolo, soddisfa al tuo desiderio: ma non dimentica i doveri che ti chiamano presso di me, e torna presto. — «Tutto giulivo, il nostro giovane corse al palazzo, vi penetrò senz’esser veduto, e recossi al serraglio, dove sedette accanto alla figliuola del sultano. Contentossi sulle prime di ammirarne la bellezza; ma dopo alcuni istanti, non potendo più signoreggiare la ragione, stese il braccio, e passò lievemente la mano al collo della principessa, la quale n’ebbe