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Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/30

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T’azzitta!
In cor ti leggo ciò che dir vorresti.
Buon veglio, a me t’appressa!

M’accorsi che essa parlava a qualcuno che mi veniva di dietro, perché rivoltomi, viddi inoltrarsi un venerando vecchione, che gentile pareva in atti e costumato. Tutti i capelli aveva canuti, bianca pure e prolissa avea la barba, alta e spiccata la persona. Vestiva una lunga toga verde chiusa, cinta a’ fianchi da due giri da una bianca fune di lana. A lui così parlò la salvatrice mia:

Adesso e sempre a te lo raccomando;
Non ti negar a’ desiderii suoi;
Ma non parlar di lei ch’io tanto amai.
È questo il mio voler, e tu l’osserva.

Il vecchio abbassò la fronte assentendo, e fattosi a me vicino, mi prese tosto per mano. Allora la bell’aquila a me rivolta amorosomante dissemi:

A lui t’affida. Addio.

Disse, e quasi freccia che dall’arco scocchi, si levò trasvolando al cielo. Io la seguitai cogl’occhi, fino a che fatta un punto la perdei. Un desolato sospiro m’uscì allora dal petto, e due grosse lacrime mi caddero dagli occhi. Il vecchio mi guardò a tenera pietà composto, poi squassando il capo: sciagurato, mi disse, tu piangi la tua fortuna! Non andrà gran tempo e più che non vorresti conoscerai quanto bassamente tu avessi posti gli affetti del tuo cuore. Piangerai allora, non già per aver perduto, ma per avere amato un essere così vile, indegno, infame.

Io lo guardai in meraviglia sentendo come ben s’immiasse, ma niente persuaso del suo discorso, anzi da questo offeso: voi mentite, in tuon severo gli risposi.