Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/52

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parmi che i monti Carpazi dividano la Transilvania e l’Ungheria dalla Moldavia e dalla Gallizia.

— Precisamente.

— Dunque noi siamo ora?

— Nella Transilvania.

— Dio aiutami! Ma come farò a ridurmi in patria colla sola camicia in dosso?

— Di ciò non ti prender pena, tornerai più facilmente e più presto che non pensi.

— Ah sì, intendo, mi lascerete il mantello, e allora quando avrò fame prenderò il pane dove lo trovo senza che alcuno mi veda; quando sarò stanco m’assiderò sul primo baroccio, carro o carrozza che incontri; se poi arrivo a qualche strada ferrata, è festa solenne, mi traforo non veduto in un vagone, e via cogl’altri senza pagare un soldo. Bella cosa aver questo mantello! Lo avesse avuto per un mese almeno il ladro, Dio sa quanto avrebbe rubato!

Se mi vien fatto di giungere fino a casa, voglio provarmi a far qualche scherzo dando il gambetto a taluni, che intendo io, per vedere se stramazzando in terra si rompessero il grugno o le corna e rinsavissero. Gio. Battista Vico da giovanetto era uno stupido, ma la frattura del cranio, che gli si spaccò ruzzolando una scala, gli risvegliò lo intelletto e divenne un gran filosofo. Chi sa che qualcuno di quei furfanti rompendosi la testa non torni a coscienza!

— A coscienza? E puoi crederlo? Essi hanno il cuore come un macigno duro, e l’ anima tuffata, affogata in tanta lordura di vizi, che per farli tornare a coscienza altro ci vuole che stramazzoni o culattate.

— E che volete saper voi dì chi io parlo?

— Lo so, lo so, non dubitare che io ti leggo in fondo al cuore ogni tuo pensiero e sentimento.


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