Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/7

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— Il bisogno fa trottar la vecchia, mi rispose; non so scrivere, ma rinchiuso in una angusta cella, solo e per quarantun mesi, bisognava farne un po’ di tutto per non morir di noia; quindi ho anche scritto. Ebbene! a che mira questo tuo discorso?

— È facile indovinarlo, voglio leggere quello che hai scritto.

— Hai tu commesso qualche peccataccio massiccio?

— Perchè?

— Perchè ti sento disposto a rigidamente penitenziartene.

— Meno discorsi! mi fai vedere i tuoi scritti?

— Come ti piace! dimattina te li porterò fino a casa.

Fu preciso; la mattina poi venne a casa mia con un fascio di fogli, li depose sul buffetto del mio studiolo, e colla solita sua giovialità:

— Eccoti servito! mi disse; io ti proclamerò martire quando mi giurerai di averli scorsi tutti. Frattanto io ti lascio; ho promesso a diversi miei amici di far loro una visita appena fatto libero, e per esser puntuale partirò oggi alla volta di Faenza; di là passerò a Ferrara, e fra quindici o venti giorni, per la parte di Bologna ritornerò in Firenze. Ci rivedremo allora; addio.

Ebbi un abbraccio e partì. Tu mi avevi detto di aver veduto almeno cinquanta fogli ben grandi scritti da capa a fondo di un carattere piuttosto minuto; ma sappi che invece di cinquanta io mi viddi innanzi sopra 250 fogli, della grandezza da te indicata, schiccherati tutti, quanto son lunghi e larghi nelle loro quattro faccie, di un carattere, che non è certamente notariesco. Come puoi figurarti, rimasi sorpreso, e sebben sappia che l’amico scrive con molta facilità, non m’attendeva tanto lavoro da un uomo che di tutto si stan-