Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/95

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non soffre però che la colpa rimanga impunita, colpisce a suo tempo il reo; e la punizione è terribile, è eterna.

Oh! A quanti che or tripudiano e giocondano, godendo soddisfatti della sventura e della umiliazione di quei miseri che diffamarono, pende in capo tremendo e certo il flagello! Oh quanti proveranno presto le atroci pene che tormentano ora quei due infelici! Eppure la detrazione è comune, la calunnia è facile, lo spergiuro non è raro; e intanto chi può misurare i danni che da queste colpe derivano? E se v’ha chi li misuri, chi può, chi vuole, chi cerca ripararli? Oh credilo; egli è vero! Calunniatore, spergiuro val quanto reprobo, dannato.

Mentre il buon Genio, con voce tuonante e tutto fuoco in viso, quei severi detti parlava, il romore che poco prima aveva sentito lontano, erasi tanto avvicinato che io distintamente intendeva schiavare e serrar gl’usci. Ma nè le parole del Genio, nè il vicino fracasso che sempre aumentava, mi avrebbero riscosso dallo sbigottimento in cui era caduto, se il vecchio, serrandomi con una mano il bavero dal mantello al collo, non mi ritornava, fortemente scuotendomi.

— Che volete? diss’io sbalordito, rivolgendomi al Genio.

— Devo lasciarti, dammi il mantello!

— Il mantello? Oh questo poi nò! E come volete...

— Dammi il mantello, ripeteva il vecchio, negando ascolto alle mie ragioni, e donandosi di strapparmelo di dosso.

Io che a niun costo voleva rimanere in camicia, e perdere quel caro oggetto, m’affrettai di opporre forza a forza, e per meglio reggere al contrasto, mi tolsi dalle spalle il mantello avviluppandolo e strettamente