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abbrancandolo con ambo le mani. Funesta risoluzione! non appena io fui svestito di quel panno, che il sipario cadde di botto, il teatro disparve, e senza saper come e da chi portato mi trovai d’un tratto in un terreno paludoso, ingombro tutto di alta e spessa sala. Con me era stato trasportato il Genio pure, e nel veloce tragitto niuno di noi aveva lasciato il mantello: qui dunque più accanita e disperata ricominciò la lotta, e sebbene in quel pantano e fra quell’erbe più faticoso, e difficile fosse il contrasto, io non mi sentiva di cedere or che vedeva farsi più certo e stringento il bisogno di possedere il contrastato mantello. Ma ben presto entrò a combattermi un nuovo nemico: dense colonne di nero e caliginoso fumo sbucaron par ogni parte, e spinte da freddo e gagliardo vento, mi si addensarono e ammucchiarono intorno portando scura notte e buio. Quel fumo anzi che caldo era freddissimo, e l’animo mi sgagliardava e le forze. Il pericolo incalzava; pochi istanti ancora ed io avrei perduto in quel fitto buio in un col mantello anche il Genio; a riparar tal danno un sol mezzo io vedeva e lo tentai. Lasciai il mantello, e nel momento istesso spiccai un salto, e m’avventai al Genio strettamente abbracciandolo alla vita.
— Voi non mi fuggirete, disperato gridai, se prima non mi lascerete il mantello.
Ma ogni mio sforzo fu invano, parchè quanto più stringeva e mi serrava al petto il Genio, tanto più egli assotigliava e sminuiva, finché divenuto come un fil di paglia fra le mie braccia vanì.
— Ah par.... e più non dissi, parchè riscossomi d’un trasalto a un forte colpo che mi tuonò all’orecchio, mi risvegliai, apersi gl’occhi, e viddi il custode che colla lanterna in mano faceva la solita visita.