Pagina:Le opere di Galileo Galilei II.djvu/210

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avvertimento. 207

di Vincenzio Giugni padre di lui, si può ritenere sia appartenuto a Niccolò, che fu discepolo di Galileo in Padova negli anni 1604-1605nota; così che, ammesso che Niccolò lo portasse da Padova a Firenze, si potrebbe crederlo esemplato non dopo il 1605; alla qual data conviene perfettamente la forma della scrittura. Il codice m, che appartenne già alla Libreria dei Chierici Regolari Somaschi di Venezia, porta, a pie della pag. 1, e sotto il titolo «Sfera dell’Ecc.mo S.r Galileo Galilei, Matematico di Padova», la data «1606», della mano medesima che esemplò il Trattato. Alquanto più tarda è la mano dell’esemplare che segniamo r: esso è compreso in una miscellanea di scritture del geografo siciliano Giovanni Battista Nicolosi, che si vede essere appartenuta al Nicolosi medesimo, del quale contiene lettere con le date 1648 e 1653. Finalmente, il codice e appartenne già a Giovanni Eroselo (Jan Brózek), scienziato polacco che fu a Padova dal 1620 al 1624nota; e di sua mano offre il titolo «Principia Astronomiae Galilaei de Galilaeis», scritto sul verso del cartone. Se, com’è probabile, fu portato in Polonia dal Eroselo stesso, si dovrebbe dire anteriore al 1624; e certamente, come conferma l’esame della scrittura, non è posteriore alla prima metà del secolo XVII, tranne forse i titoli dei capitoli, che sembrano di mano alquanto meno antica.

Collazionando diligentemente detti esemplari, ci siamo persuasi ch’essi formano, quanto al testo, una sola famiglia, pur avendo ciascuno suoi particolari caratteri. Più speciali affinità offrono tra di loro a ed m da una parte, ed r e c dall’altra. I due primi sono deturpati da molti e gravissimi errori di senso. Il cod. a fu, con molta probabilità, esemplato da copista toscano: mentre però, sotto questo rispetto, si raccomanda alla nostra attenzione, essendo probabile che meglio abbia conservato le forme genuine dell’Autore, presenta, e in larghissima copia, altri fatti che lo rendono meno commendevole: come sarebbero l’inserzione viziosa dell’i dopo gn davanti a, e, o, p. e. in ingegniandoci, campagnia, segnio, ecc.; lo scempiamento del v in avenire, avicinarsi ecc.; le desinenze — aremoaranno ecc. nei futuri e condizionali della prima coniugazione; per non dire di certe deformità, come andasserono, abitassero, procedesserono, ecc. D’altra parte, il colorito veramente toscano che presenta questo codice, ci parve in alcuni particolari alquanto esagerato, tanto da farci nascere il sospetto che l’amanuense avesse caricato la tinta trovata nell’originale. Il codice m, sebbene per antichità molto rispettabile, trascorre spesse volte ad alterare la parola genuinanota qualche volta ad ammodernarenota, spessissimo a riordinare i costrutti, togliendo specialmente certi iperbati piaciuti all’Autore, per ridurli ad una sintassi piana e regolarissimanota: e per

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  1. Cfr. Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova. Vol. I, pag. 162, 200; Vol. II, pag. 185-186.
  2. Cfr. Favaro, Sulla autenticità ecc., pag. 64-65.
  3. P. e., il solo cod. m legge a pag. 215, lin. 15-16, «addurremo la sua sostanza», e a lin. 12 «ci dimostra eguale»; a pag. 216, lin. 18 «grandissime appaririano le lunghezze», e a lin. 32 «si rivolga il che»; ecc.
  4. P. e., sostituisce spesso il a lo davanti a consonante (lo qual, ecc.)
  5. P. e., a pag. 212, lin. 26-27 «doveremo assignare grandissima distinzione»; a pag. 213, lin. 1