Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/77

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trad. da Mario Rapisardi 77


Erano le mie porte ognor frequenti,
     90Fervea sempre d’amici il limitare;
     Quando, già sorto il Sol, dalle tepenti
     Piume tranquillo io mi solea levare,
     Incoronata di corolle olenti
     La mia casa ridea come un altare.
     95Ed io ministra di Cibele adesso?
     Io baccante, io smembrata, io senza sesso?

E abiterò il nevoso Ida? E qui tratto
     Sarà tra’ boschi il mio giorno mortale,
     Sotto a queste colonne alte, ove il ratto
     100Cervo balza ed imboscasi il cignale?
     Ahi, già di quel che osai, di quel che ho fatto
     Già dolore e rimorso il cor m’assale!”
     Queste dai rosei labbri uscían querele:
     Ma le udiron gli Dei, le udì Cibele.

105Staccò dal giogo un dei leoni, e il fiero
     Di greggi insidiator col cenno aizza:
     “Va’, gli dice, e col tuo impeto, o altero,
     Colui di nuovo alle foreste indrizza:
     Sottrarsi ei tenta al mio tremendo impero.
     110Or su, flagella i fianchi, esci alla lizza,
     La giubba squassa in su le muscolose
     Spalle, ed al tuo ruggir tremin le cose.”