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— VI — |
In quelle cinque poesie, stupende d’ispirazione lirica, Sognatore, Ebe, Nella foresta, Elena, La mia candidatura, ei si rivela qual'è, tutto co’ suoi ondeggiamenti tra il sogno ed il vero, fra la vita com’è fuori di lui, e la vita com’ei la idealizza dentro di sè. Nel Sognatore ei va da un tono all’altro per guisa, che la satira e la lirica si fondono insieme. Che nervosità di forme, che scherno acre e vibrato nelle due strofe satiriche!
Ma la brodosa pubertà che succia
A le ciocce di Jalla
Lo stil novo, traendo dalla cuccia
Seco la farda gialla,
Gagnola: o Arcadia, o frasche! al bel paese
Noi scandiamo la strofe
Alcaica su ’l volubile garrese
De le galanti scrofe.
Nella Sera d’agosto e nel Febbrajo, c’è un’articolazione così piena nel verso, un sentimento della natura così largo, un vigore di colorito così sano, che pajono frammenti antichi scoverti nel mondo contemporaneo.
Ed ora, per esser giusto, vorrei dir francamente al poeta catanese che l’originalità della sua forma lirica, nasconde un pericolo. Egli ardisce congiungimenti nuovi d’imagini, e possiede il segreto arduo della callida junctura che domandava Orazio ai poeti. Ei sa che i vocaboli non sono soltanto simboli delle cose, ma centri d’associazioni, come nota acutamente il Lewes. Egli trova relazioni inaspettate fra le parole, ed un gruppo d’armoniche latenti, consuona intorno al ritmo poetico che le suggerisce.