Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/46

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D E L P E T R A R C A. xlvii

che fugge l’aspetto del suo Signore, parlando d’esser apparecchiato a morire volentieri; onde la sua vecchiezza spese tutta in sacre lezioni. Dice bene1 aversi riservato per ispasso, ed ornamento le Muse.

Era per natura grave; e d’ingegno, com’esso dice2, più mansueto, e benigno, che acuto; e però quando lesse il Decamerone del Boccaccio, vedendolo in molti luoghi licenzioso, lo scusa, dicendo3 pensare che da giovane sia stato da lui scritto. Loda però il principio, ed il fine, quale fece anco Latino, come scrive, e si vede. Sopra tutto fu buonissimo Cristiano Cattolico, e pieno di pietà; e pregava tra l’altre cose Dio benedetto che lo facesse buono sì che lo amasse, e da lui fosse amato; dicendo: A questo son nato, e non alle lettere, le quali per sè fanno gli uomini gonfij: e riputava più felice assai un minimo semplice che in GESU’ CRISTO credesse, che Platone, ed Aristotile, e Cicerone, con tutto il saper loro4. E così attese più a ben vivere, che a ben parlare.

Questi in somma furono gli studj, pensieri, e costumi di M. Francesco Petrarca, i quali se con dritto occhio saranno guardati, si potrà facilmente vedere di quanto giudicio, e bontà, e religione fosse.

Non fu questi uno scrittore d’amor lascivo, nè cose cattive insegna, siccom’altri in altri secoli fecero; ma tutto grave, e Platonico. Alza spesso la mente al Cielo, o piange gli

affet-

  1. Alla posterità.
  2. Alla posterità, e nel 3. coll. col. 14.
  3. De ignor. col. 7.
  4. Ep. ad poster.