Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/47

Da Wikisource.
xlviii V I T A

affetti suoi con soavissima, e dolcissima melodia. E tanto più è degno di maraviglia, e lode, quanto che nacque a quei secoli, ed in fortuna avversa, e con poche facoltà; onde, dopo Dio benedetto, tutto l’onore è del buono ingegno, e della buona natura sua.

Resterebbe ch’appresso questa pittura che di sopra vi ho fatto della vita, e costumi di M. Francesco, similmente vi dicessi del modo, e diligenzia, ch’usava in ridurre le sue Rime a perfezione; il che assai bene ho potuto comprendere da alcuni fogli che di sua propria mano ho veduto scritti, parte in Padova in mano di Monsignor Pietro Bembo, come di sopra dissi, e parte in Roma in mano di M. Baldassare da Pescia; i quali fogli erano di quei primi originali dove le componeva, e correggeva; notando spesse volte, e sempre con parole (V. a c. 372. e segg.) Latine, l’ora, e’l tempo che ciò faceva, e la cagione perchè mutava, cosa che dà gran lume del suo giudizio; che come più invecchiava sempre si faceva migliore. Ma sopra ciò farò un discorso a parte, s’a Dio piacerà, per ora bastivi questo; a che solo per compimento aggiungerò alcune cose, di che già ho fatto ricordo. E la prima sarà un Sonetto, che tra moti di M. Giovanni Boccaccio ho trovato in un libro antico; fatto in morte di M. Francesco; il quale senza dubbio il Boccaccio fece nell’ultimo anno di sua vita; imperocchè l’anno seguente alla morte del Petrarca, d’anni sessantadue, morì, cioè de 1375.


S O