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LA DAMA BIANCA DELLE ROSE 459



Donna Fedele tacque, sottrasse la mano a quelle di Lelia che la stringevano, gliela posò sul capo, disse piano:

«Chi sa che idee hai tu, testolina, del dovere!»

Faceva oramai buio nella camera e donna Fedele non potè vedere le fiamme nel viso di Lelia. Le sentì nella voce, nelle parole accese:

«Che dovere ha? Son venuta io, a cercarlo. Mi ama e in pari tempo vi è come un fratello in lui che mi proteggerebbe contro me stessa, se ve ne fosse bisogno.»

Donna Fedele sorrise accarezzandole lievemente i capelli:

«Ve n’è bisogno, ve n’è bisogno.»

Lelia le prese la mano carezzevole, vi piegò su il viso, mormorò:

«Forse sì.»

«Che vergogna, che vergogna!»

Mentre donna Fedele, sottratta ancora la mano, rimproverava così l’inginocchiata battendole un po’ forte il capo, sfolgorò nella camera il lampo elettrico e si udì uno strido della cugina Eufemia. Aveva trasalito anche donna Fedele. La cugina entrò spaventata per chiudere le finestre. «O mi povr’om, che diavolo di temporale!» Lelia faticò non poco a convincerla che il lampo non era venuto dal cielo. Donna Fedele la rimandò fuori. Voleva udire da Lelia ogni particolare della sua vita di quei tre giorni. La fanciulla ne fece un racconto molto scolorato e poi domandò il permesso di avvertire Massimo, subito. Donna Fedele stessa lo desiderava ma escluse di riceverlo prima dell’indomani mattina. Lelia scrisse a precipizio due righe nello stanzino attiguo, dicendo anche delle condizioni tristissime di donna Fedele, e incaricò l’albergatore di far portar subito il biglietto a Dasio.