Pagina:Leonardo prosatore.djvu/240

Da Wikisource.
236


quanti romori spaventevoli si sentivan per l’aria scura, percossa dal furore de’ tuoni e delle fulgori da quelli scacciate, che per quella ruinosamente scorrevano, percotendo ciò che s’opponea al suo corso! Oh quanti aresti veduti colle propie mani chiudersi li orecchi per schifare l’immensi romori, fatti per la tenebrosa aria dal furore de’ venti misti con pioggia, tuoni celesti e furore di saette!

Altri, non bastando loro il chiudere delli occhi, ma colle propie mani ponendo quelle l’una sopra dell’altra, più se li coprivano per non vedere il crudele strazio fatto della umana spezie dall’ira di Dio.

Oh quanti lamenti e quanti spaventati si gittavon dalli scogli! Vedeasi le grandi ramificazioni delle gran querele, cariche d’omini, esser portati per l’aria dal furore delli impetuosi venti.

Quante eran le barche volte sottosopra, e quelle intere e quelle in pezzi esservi sopra gente, travagliandosi per loro scampo, con atti e movimenti dolorosi, pronosticanti di spaventevole morte. Altri con movimenti disperati si toglievon la vita, disperandosi di non potere sopportare tal dolore; de’ quali alcuni si gittavano dalli alti scogli, altri si stringeva la gola colle propie mani, alcuni pigliava li propi figlioli e con grande ràpito li sbatteva in terra, alcuni colle propie sue armi si feria, e uccidea se medesimi, altri gittandosi ginocchioni si raccomandava a Dio. Oh! quante madri piangevano i sua annegati figlioli, quelli tenendo sopra le ginocchia, alzando le braccia aperte in verso il cielo, e con voce composte di diversi urlamenti riprendevan l’ira delli Dei;