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Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/106

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100 operette morali


quelle da questa; dalla quale pendono totalmente. Penserai forse che derivando la filosofia dalla ragione, di cui l’universale degli uomini inciviliti partecipa forse piú che dell’immaginativa e delle facoltá del cuore; il pregio delle opere filosofiche debba essere conosciuto piú facilmente e da maggior numero di persone, che quello de’ poemi, e degli altri scritti che riguardano al dilettevole e al bello. Ora io, per me, stimo che il proporzionato giudizio e il perfetto senso sia poco meno raro verso quelle che verso queste. Primieramente abbi per cosa certa che a far progressi notabili nella filosofia, non bastano sottilitá d’ingegno, e facoltá grande di ragionare, ma si ricerca eziandio molta forza immaginativa; e che il Descartes, Galileo, il Leibnitz, il Newton, il Vico, in quanto all’innata disposizione dei loro ingegni, sarebbero potuti essere sommi poeti; e per lo contrario Omero, Dante, lo Shakespeare, sommi filosofi. Ma perché questa materia, a dichiararla e trattarla appieno, vorrebbe molte parole, e ci dilungherebbe assai dal nostro proposito; perciò contentandomi pure di questo cenno, e passando innanzi, dico che solo i filosofi possono conoscere perfettamente il pregio, e sentire il diletto, dei libri filosofici. Intendo dire in quanto si è alla sostanza, non a qualsivoglia ornamento che possono avere, o di parole o di stile o d’altro. Dunque, come gli uomini di natura, per modo di dire, impoetica, se bene intendono le parole e il senso, non ricevono i moti e le immagini de’ poemi; cosí bene spesso quelli che non sono dimesticati al meditare e filosofare seco medesimi, o che non sono atti a pensare profondamente, per veri e per accurati che sieno i discorsi e le conclusioni del filosofo, e chiaro il modo che egli usa in espor gli uni e l’altre, intendono le parole e quello che egli vuol dire, ma non la veritá de’ suoi detti. Perocché non avendo la facoltá o l’abito di penetrar coi pensieri nell’intimo delle cose, né di sciôrre e dividere le proprie idee nelle loro menome parti, né di ragunare e stringere insieme un buon numero di esse idee, né di contemplare colla mente in un tratto molti particolari in modo da poterne trarre un generale, né di seguire indefessamente coll’occhio