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dialogo di f. ruysch e delle sue mummie | 119 |
gradi. Vero è che questi gradi sono piú o meno, e maggiori
o minori, secondo la varietá delle cause e dei generi della
morte. Nell’ultimo di tali istanti, la morte non reca né dolore
né piacere alcuno, come né anche il sonno. Negli altri precedenti
non può generare dolore: perché il dolore è cosa viva,
e i sensi dell’uomo in quel tempo, cioè cominciata che è la
morte, sono moribondi, che è quanto dire estremamente attenuati
di forze. Può bene esser causa di piacere: perché il piacere
non sempre è cosa viva; anzi forse la maggior parte dei
diletti umani consistono in qualche sorta di languidezza. Di
modo che i sensi dell’uomo sono capaci di piacere anche
presso all’estinguersi; atteso che spessissime volte la stessa
languidezza è piacere; massime quando vi libera da patimento;
poiché ben sai che la cessazione di qualunque dolore o disagio
è piacere per se medesima. Sicché il languore della morte
debbe esser piú grato secondo che libera l’uomo da maggior
patimento. Per me, se bene nell’ora della morte non posi
molta attenzione a quel che io sentiva, perché mi era proibito
dai medici di affaticare il cervello, mi ricordo però che
il senso che provai non fu molto dissimile al diletto che è
cagionato agli uomini dal languore del sonno, del tempo che
si vengono addormentando.
Gli altri morti. Anche a noi pare di ricordarci altrettanto.
Ruysch. Sia come voi dite: benché tutti quelli coi quali ho avuta occasione di ragionare sopra questa materia, giudicavano molto diversamente; ma, che io mi ricordi, non allegavano la loro esperienza propria. Ora ditemi: nel tempo della morte, mentre sentivate quella dolcezza, vi credeste di morire, e che quel diletto fosse una cortesia della morte; o pure immaginaste qualche altra cosa?
Morto. Finché non fui morto, non mi persuasi mai di non avere a scampare di quel pericolo; e se non altro, fino all’ultimo punto che ebbi facoltá di pensare, sperai che mi avanzasse di vita un’ora o due: come stimo che succeda a molti, quando muoiono.