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262 operette morali


il maggior bene degli uomini deriva dall’ubbidire alla natura e secondare, quanto oggi si possa il nostro primo destino....

E vedi il seguito in Memorie della mía vita, da cui tuttavia riferisco qui queste linee:

L’uomo disingannato, stanco, esperto, esaurito di tutti i desidèri, nella solitudine a poco a poco si rifá, ricupera se stesso, ripiglia quasi carne e lena e, piú o meno vivamente, a ogni modo risorge, ancorché penetrantissimo d’ingegno e sventuratissimo. Come questo? Forse per la cognizione del vero? Anzi per la dimenticanza del vero, pel diverso e piú vago aspetto che prendono per lui quelle cose giá sperimentate e vedute, ma che ora, essendo lontane dai sensi e dall’intelletto, tornano a passare per la immaginazione sua e quindi abbellirsi. Ed egli torna a sperare e desiderare e vivere, per poi tutto riperdere e morire di nuovo, ma piú presto di prima se rientra nel mondo.

10 agosto 1821, Z. 1477 (III, 183):

Non v’è infelicitá umana la quale non possa crescere. Bensí trovasi un termine a quello medesimo che si chiama felicitá. Può trovarsi un uomo perfettamente fortunato, che nulla possa desiderare di piú, la cui felicitá non possa piú stendersi. Augusto era in questo caso. Ma un uomo tanto infelice che non possa immaginarsi maggiore infelicitá, infelicitá non solamente fantastica, non solamente possibile, ma realizzata bene spesso in questo o quell’individuo, per quella o per questa parte; un tal uomo non si dá. La fortuna può dire a molti: — Io non ho maggior potere di beneficarti; — ma nessuno può mai vantarsi e dire alla fortuna: — Tu non hai forza di nuocermi davvantaggio e di aumentare i miei dolori. — Può mancar che sperare; ma nessuno mancherá mai di che temere. La disperazione stessa non basta ad assicurar l’uomo. Nessuno può vantarsi o sdegnarsi con veritá, dicendo: — Io non posso esser piú infelice di quel che sono. —

Intorno al «piacere» sempre futuro o passato, onde «propriamente parlando, il piacere è un ente o una qualitá di ragione e immaginario» (12 ottobre ’22) il L. insiste molte volte: ma la dimostrazione dialettica principale è del 20 gennaio 1821, Z. 532 sgg. (II, 46 sgg.):

Il piacere umano (cosí probabilmente quello di ogni essere vivente in quell’ordine di cose che noi conosciamo) si può dire