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316 operette morali


che non persuada il suicidio, cioè piuttosto di non essere che di essere infelice. E noi seguiamo la ragione in tutt’altro, e crederemmo di mancare al dover di uomo facendo altrimenti.

23 giugno 1822, Z. 2492 (IV, 272):

Intorno al suicidio. È cosa assurda che, secondo i filosofi e secondo i teologi, si possa e si debba viver contro natura (anzi non sia lecito viver secondo natura) e non si possa morir contro natura. E che sia lecito d’essere infelice contro natura (che non avea fatto l’uomo infelice) e non sia lecito di liberarsi dalla infelicitá in un modo contro natura, essendo questo l’unico possibile, dopo che noi siamo ridotti cosí lontani da essa natura e cosí irreparabilmente.

10 dicembre 1821, Z. 2241-2 (IV, 124):

Se la natura è oggi fatta impotente a felicitarci, perché ha perduto il suo regno su di noi, perché dev’ella essere ancora potente a interdirci l’uscita da quella infelicitá che non viene da lei, non dipende da lei, non ubbidisce a lei, non può rimediarsi se non con la morte? S’ella non è piú l’arbitro né la regola della nostra vita, perché dev’esserlo della nostra morte? Se il suo fine è la felicitá degli esseri, e questo è perduto per noi vivendo, non obbedisce meglio alla natura, non procura meglio il di lei scopo chi si libera con la morte dall’infelicitá altrimenti inevitabile, di chi s’astiene di farlo, osservando il divieto naturale, che, non vivendo noi piú naturalmente, né potendo piú godere della felicitá prescrittaci dalla natura, manca ora affatto del suo fondamento?

Giá fin dalle prime pagine, nel 1817 o 18 aveva notato (Z. 57, I, 166):

Di alcuni principi che si sieno uccisi per evitare qualche grande sventura, o per non saperne sopportare qualcuna giá sopraggiunta loro, si legge, come di Cleopatra, Mitridate, ecc. e piú, anzi forse solamente, fra gli antichi. Ma di quelli che si sieno uccisi per le altre cagioni che producono ora il suicidio, come la malinconia, l’amore, ecc., non si legge, ch’io sappia, in nessuna storia. Eppure lo scontento della vita e la noia e la disperazione dovrebb’essere tanto maggiore in loro che negli altri, in quanto questi possono supporre, se non colla ragione, la quale è ben persuasa del contrario, almeno coll’immaginazione, che non si persuade mai, che