Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/25

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pensieri - xxii-xxiv 19

XXII.

Assai difficile mi pare a decidere se sia o piú contrario ai primi principi della costumatezza il parlare di sé lungamente e per abito, o piú raro un uomo esente da questo vizio.

XXIII.

Quello che si dice comunemente, che la vita è una rappresentazione scenica, si verifica soprattutto in questo, che il mondo parla costantissimamente in una maniera, ed opera costantissimamente in un’altra. Della quale commedia oggi essendo tutti recitanti, perché tutti parlano a un modo, e nessuno quasi spettatore, perché il vano linguaggio del mondo non inganna che i fanciulli e gli stolti, segue che tale rappresentazione è divenuta cosa compiutamente inetta, noia e fatica senza causa. Però sarebbe impresa degna del nostro secolo quella di rendere la vita finalmente un’azione non simulata ma vera, e di conciliare per la prima volta al mondo la famosa discordia tra i detti e i fatti. La quale, essendo i fatti, per esperienzia oramai bastante, conosciuti immutabili, e non convenendo che gli uomini si affatichino piú in cerca dell’impossibile, resterebbe che fosse accordata con quel mezzo che è, ad un tempo, unico e facilissimo, benché fino a oggi intentato: e questo è, mutare i detti, e chiamare una volta le cose coi nomi loro.

XXIV.

O io m’inganno, o rara è nel nostro secolo quella persona lodata generalmente, le cui lodi non sieno cominciate dalla sua propria bocca. Tanto è l’egoismo, e tanta l’invidia e l’odio che gli uomini portano gli uni agli altri, che volendo acquistar nome, non basta far cose lodevoli, ma bisogna lodarle, o