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260 sopra lo stato presente


La perpetua e piena dissimulazione della vanitá delle cose, dissimulazione che tutti fanno verso ciascuno nelle parole e nei fatti in una societá stretta, e che ciascuno è obbligato nello stesso modo a fare continuamente con tutti gli altri, inganna in qualche guisa il pensiero, e mantiene come che sia e per quanto è possibile l’illusione dell’esistenza. In una societá stretta anche l’uomo piú intimamente persuaso per raziocinio, ed anche per sentimento, della vanitá di sé stesso, della frivolezza altrui, della inutilitá della vita e delle fatiche, della niuna importanza d’essa societá, anche il piú perfetto filosofo in ispeculazione, non può mai fare, non solo di non contenersi in atto come se il mondo valesse pur qualche cosa, ma nemmeno che una parte del suo intelletto non combatta coll’altra, affermando che le cose umane meritano pur qualche cura, e combattendo non vinca il piú del tempo, e non persuada confusamente alla persona la detta cosa, in dispetto, per dir cosí, della sua stessa persuasione. Se non altro l’immaginativa che per natura ci porta a conceder qualche valore alla vita, ha pure un pascolo nella societá stretta, e facoltá di conservar qualche parte della sua azione ed influenza sull’uomo1. Tutto ciò non

  1. Dalla tendenza dell’uomo a imitare, massimamente i suoi simili, nasce in parte quella sua inclinazione a seguire l’autoritá, sí nel risolvere e nell’operare che nel giudicare e nel credere, inclinazione incontrastabilmente propria dell’uomo, non solo dell’uomo debole, ma di tutti gli uomini piú o meno, posti che sieno in relazione cogli altri. La quale inclinazione ha fatto per tanto tempo che l’autoritá prevalesse alla ragione non pure universalmente, ma eziandio presso i migliori ingegni, i quali e gli altri si movevano, non tanto forse per l’autoritá di quei maestri o precettori che essi seguivano, quanto per quella de’ loro contemporanei e maggiori che gli avevano seguiti e seguivangli. Né si dèe credere che il progresso della ragione abbia ora distrutto né sia mai per distruggere l’imperio dell’autoritá, né sugli animi né sugl’intelletti non solo de’volgari o timidi o irriflessivi, ma neanche de’ grandi spiriti, de’ piú liberi e arditi nel pensare e nel risolvere circa l’azione o la credenza e il giudizio, de’ piú riflessivi, de’ piú «autognomoni». L’autoritá ha sempre e inevitabilmente qualche o maggiore o minor parte nelle determinazioni qualunque di qualunque mente, e massime di quelli che vivono in societá, e massime l’autoritá di quelli con cui piú prossimamente e quotidianamente si conversa, sia per mezzo de’ libri, sia nella vita; e ciò quando anche questi tali sieno pochissimo stimati dalla persona. Veggasi quel che dice la Staël nell’Histoie de Corinne sopra l’influenza di quelli che ci circondano sui nostri giudizi e risoluzioni, anche quando un grande ingegno vive tra piccolissimi e incolti spiriti Tanta è l’influenza dell’autoritá, che