Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/106

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ANNO 1817 - LETTERE 42-44 73 44. Di Pietro Giordani. Milano 15 Aprile [1817]. Signor Contino carissimo. Questa le parlerà de’ nostri studi: non per /are il maestro: chó starei piuttosto eternamente muto: ma per amor di lei e degli studi e di me, giova cercare in comune quali opinioni possono esserci più utili. Dico dunquo che mi paro che a divenire scrittore bisogni prima tradurre cho comporre; e prima comporre in prosa che in versi. Ella vede anche in pittura che prima di comporre si copiano lungamente i disegni e i dipinti de’ maestri. La principal cosa nello scriverò mi pare la proprietà si de’ concetti e s( dell’espressioni. Questa proprietà ò più difficile a mantenere nello stile che deve abbondar di modi figurati, come il poetico, cho nel più semplice e naturale, nom’è il prosaico: o però stimo da premettere al tentar la poesia un lungo esercizio di prosare. Questa proprietà anche nolla prosa domanda lunga consuetudine di concepii’ con precisione, o di trovare a’ precisi concetti le parole e le frasi cho a punto rispondano. E perciò panni necessario di aver molto meditato gli scrittori che più furono perfetti; e per appropriarsi la loro virtù farsi loro interpreti. Ella vedrà spessissimo accadere cho un debole e mediocre scrittoro voleva diro una cosa, e non riesco a dirla; voleva dire una cosa, e ne dice un’altra. E come siam facili ad ingannare volontariamente noi stessi, perché abbiam detto quel che potemmo, crediamo di aver detto ciò dio volevamo. Ma chi traduce, ha innanzi il suo originale, che lo convince e lo disinganna; e persevera (so ò di buona volontà) finché abbia nettamento e interamente espresso il concetto del suo autore. VS. mi ha dato già segno di ottimo giudizio significandomi di non volersi ingombrare e contaminare la mento con letture moderno di nessuno da un secolo in qua: e fa benissimo. Io poi vorrei pregarla a leggero e tradurre do’ prosatori greci più antichi, Erodoto, Tucidide, Senofonte, Demostene, che sono candidissimi e ottimi fra tutti; e per aver colori da imitare quella loro pittura, leggere i trecentisti. Spero ch’ella sia persuasa cho l’ottimo scrivere italiano non possa farsi se non con lingua del trecento, e stile greco. Chi forma il proprio stile sui latini, lo avrà sempre meno fluido, meno semplice, meno gentile, meno tenero, meno pieghevole, meno dolce, meno affettuoso, meno vario. E poi ella si accorgerà facilmente quanto maggior amicizia o parentela abbia colla nostra lingua Iti greca che la latina: e dove i latinismi per lo più ci riescono duri e strani, una grandissima quantità di maniere greche ci verrebbero spontanee, naturali, avvenentissime. 10 ho fatta molto volte questa considerazione: e sonmi maravigliato e doluto che non la facessero nel cinquecento que’ tanti che sapevan bene l’una e l’altra lingua, o vollero piuttosto latinizzare, con pochissimo profitto dol nostro idioma. Pensi un poco quanta ricchezza di bello, o quanta gloria acquisterebbe chi sapesse mescere gli spiriti e le grazio greche al nostro sermone; non la dura scorza esterno, come pedantescamente 11 Cliiabrera. Ci ponsi un poco: o spero cho mi acconsentirà. Ho letto la sua cantica 1; la quale renderò allo Stella: o a VS. ne parlerò sinceramente come a mo stesso. Primieramente mi ha molto contristato un timore elio la sua delicata complessione abbia patito dal soverchio delle fatiche, e le dia quello tante malinconie. Lo ripeto 1 Appressamento iiella morte: cfr. letfc. 37, p. 66, nota 1; o 48, p. 72, paragr. 3".