Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/115

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EPISTOLARIO per sé, quel non potere sventolare e dibattere le proprie opinioni, far pompa innocente de’ propri studi, chiedere aiuto e consiglio, pigliar coraggio in tante ore e giorni di sfinimento e svogliatezza, le par che sia un bel sollazzo? Io da principio avea pieno il capo delle massime moderne, disprezzava, anzi calpestava, lo studio della lingua nostra; tutti i miei scrittacci originali erano traduzioni dal francese; disprezzava Omero Dante tutti i Classici; non volea leggerli, mi diguazzava nella lettura che ora detesto: chi mi ha fatto mutar tuono? la grazia di Dio, ma niun uomo certamente. Chi m’ha fatto strada a imparare le lingue che m’erano necessarie? la grazia di Dio. Chi m’assicura eli’ io non ci pigli un granchio a ogni tratto? Nessuno. Ma pognamo che tutto questo sia nulla. Che cosa è in Recanati di bello? che l’uomo si curi di vedere o d’imparare? Niente. Ora Iddio ha fatto tanto bello questo nostro mondo, tante cose belle ci hanno fatto gli uomini, tanti uomini ci sono che chi non & insensato arde di vedere e di conoscere; la terra è piena di meraviglie; ed io di dieciott’anni potrò dire: In questa caverna vivrò, e morrò dove sono nato? Le pare che questi desiderii si possano frenare? che siano ingiusti soverchi sterminati? che sia pazzia il non contentarsi di non veder nulla, il non contentarsi di Recanati? L’aria di questa città l’è stato mal detto che sia salubre. È mutabilissima, umida, salmastra, crudele ai nervi e per la sua sottigliezza niente buona a certe complessioni. A tutto questo aggiunga l’ostinata nera orrenda barbara malinconia elio mi lima e mi divora, e collo studio s’alimenta e senza studio s’accresce. So ben io qual’b, e l’ho provata, ma ora non la provo pili, quella dolce malinconia che partorisce le l>elle cose, più dolce dell’allegria, la quale, se m’è permesso di dir cosi, b come il crepuscolo, dove questa è notte fittissima e orribile, è veleno, com’Ella dice, che distrugge le forze del corpo e dello spirito. Ora come andarne libero non facendo altro che pensare, e vivendo di pensieri senza una distrazione al mondo? e come fare che cessi l’effetto se dura la causa? Che parla Ella di divertimenti? Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia. So che la noia può farmi manco male che la fatica, e però spesso mi piglio noia, ma questa mi cresce, com’ò naturale, la malinconia; e quando io ho avuto la disgrazia di conversare con questa gente, che succede di raro, torno pieno di tristissimi pensieri agli studi miei, o mi vo covando in mente e ruminando quella nerissima materia. Non m’ò possibile rimediare a questo né fare che la mia salute debolissima non si rovini, senza uscire di un luogo che ha dato origine al male, e lo fomenta e l’accresce ogni di più, e a chi pensa non concede nessun ricreamento. Veggo ben io che per poter continuare gli studi bisogna interromperli tratto tratto, e darsi un poco a quelle cose