Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/145

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EPISTOLARIO ne ringrazi, e tanto più quanto meno posso approvarla: perché vedendo che 116 virtù né alcun merito mio, né anche istanza che io ve n’abbia fatta, le ha. dato motivo, resta che l’attribuisca alla bontà vostra e al desiderio nobilissimo che avete d’incoraggire anche quelli che poca o ni una speranza dànno di sé. Però sincerissimamente ve ne ringrazio, e delle cure vostre mi rallegro colla mia nazione, alla quale resta tanto poco del vero amore, non dirò delle patrio particolari, ma della nostra comune gloriosissima e sovrana patria che è l’Italia. Con infinito piacere ho veduto nel Libro delle vostre Leggi, che il primo officio di una delle classi alle quali v’è piaciuto di scrivermi, è aver cura di mantener bella e incorrotta la nostra lingua. Degnissimo scopo delle fatiche vostre, conservare all’Italia questo tesoro a malgrado degli stranieri, e soprattutto della scioperaggine e noncuranza degl’Italiani, la quale dopo averci tolto quanto ha potuto, vorrebbe anche insozzarci e guastarci e quasi toglierci affatto questo prezioso avere della lingua Regina di tutte le lingue viventi, e delle morte se non Regina, certo non suddita. Per cooperare a questa gloriosa impresa io farò quanto potrò, che pure sarà pochissimo; e spero che l’amore che porto ardentissimo alla nostra patria, e la gratitudine e la corrispondenza che debbo all’onore che Voi mi avete fatto, aiuteranno la debolezza e piccolezza mia a far quello che da sé non potrebbe. Sono, o Signori, con somma stima e gratissimo animo, vostro umilissimo e obbligatissimo Servo. Migliente letterina: «Nipote Car.mo. La vostra Traduzione del secondo Libro doli’Eneide di Virgilio, che io mi sono ascritto a gloria di far circolare nelle mani dei più colti ed eruditi uomini di quesUi Città, vi ha procurato il qui annesso Diploma. Spero che, quantunque siato superiore a qualunque onore mondano, il gradirete unitamente alle protesto di afiotto di chi sinceramonte dicesi Aff.mo Zio Camillo A.». È questa un’altra prova della premura affettuosa che tutti gli Antici si davano per render noto e onorato il loro prodigioso congiunto. Ed è questo il primo Diploma accademico conferito a G., fra gli altri che vennero appresso. Assai probabilmente Camillo Antici dovè ricevere, non direttamente da Giacomo o da Monaldo, ma dal fratello Carlo dimorante in Roma, l’esemplare dell’incide por l’Accademia viterbeso; come sulla fine di novembre Carlo Antici scriveva di voler mandare al fratello, per la medesima Accademia, anche un esemplare dell’inno a Nettuno. Gli esemplari deV Eneide erano stati dallo stesso Carlo distribuiti in Roma " a vario penane, capaci di conoscerne il pregio», fra le quali la signora Dionigi-Orfei, il Cancellieri, il conto Torricelli ed anche il Cardinal Vicario. Se non che Carlo Antioi, pur lodando questa traduzione di G., insisteva neU’osortorlo a dedicare tutto il suo ingegno, tempo e fatiche noi tradurre VOdissea e Platone.