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ANNO 181It - LETTElt E 151-152 219 Fra le molte copie che dovete distribuire delle canzoni, mandatene una al Chiarissimo Professore Giuseppe ¡Montani — Lodi. — Ditegli che ve l’ho detto io. È proprio degnissimo di leggervi e di amarvi. 1 Fate anche una cosa a modo mio: quando sarete conosciuto da tutto il mondo (die sarà presto), allora gittate via (come fece PAlfieri) quel titolo di Conte, che nulla serve ad un nome celebre. Ma per ora vorrei che tutti venissero sapendo che tanta altezza e grandezza d’ingegno e di studi si trova pure in un Conte. Ai bravi è una consolazione trovare un nume tra tanto bestie: appo i c i mette in qualche credito gli studi il vedere che un Conte non se ne sdegna. Fate a modo mio. P. S. - Oh la è una cosa grande, Giacomino mio, e che non finisce mai. Le vostre canzoni girano per questa città come fuoco elettrico: tutti le vogliono, tutti ne sono invasati. Non ho mai (mai mai) veduto né poesia né prosa, né cosa alcuna d’ingegno tanto ammirata ed esaltata. Si esclama di voi, come di un miracolo. Capisco che questo mio povero paese non è l’ultimo del mondo, poiché pur conosce il bello e raro. Oh fui pure sciocco io quando (conoscendovi anche poco) vi consigliavo ad esercitarvi prima nella prosa che nei versi: ve ne ricordate? 2 Oli fate quel che volete: ogni bella e grande cosa è per voi: voi siete uguale a qualunque altissima impresa. Oh quanto onore avrà da voi la povera Italia; e forse ancora quanto bene.3 Vi abbraccio con tutta l’anima. Ribaciate Carlino. 1 È notabile questa particolare segnalazione del Montani. 2 V. lett. 44 principio, 48, 51, 54. 3 A questa esplosione di entusiasmo nel Poscritto, dopo l’inno iniziale della lettera, che se potrà a qualcuno sembrare un po’ esagerata non si deve per ciò ritenere poco sincera, fanno stridente contrasto le acide osservazioni dei pedanti invidiosi, i velati biasimi o lo aporte condanne dei paurosi e dei retrivi. Tra questi ultimi vanno annoverati il padre di G. e lo zio Carlo. L’Antici infatti, dopo aver dato a Monaldo, in una sua lettera dei 27 gennaio, saggi consigli igienici e letterarii per G., scriveva: «Allora, invece di piangere coi Carbonari e i Fantastici i tempi della gloria Italiana, cioè quelli in cui ogni giorno era segnato da qualche atto di Tirannia, da qualche strage e da qualche delitto, ed ove veramente la politica non era che il tradimento, e la logge non era che l’abuso della forza, allora dico io, [Giacomo] rivolgerà l’energia del suo spirito o la vivacità della sua immaginazione a quei scritti, che corrispondano ai bisogni del tempo, od al vóto dei buoni Pensatori». Ciò non ostante, lo zio che andava puro orgoglioso di tanto nipote, com’ebbe ricovute dal sacerdote Fucili tutte le copie delle Canzoni, si prese la cura di distribuirne sulla fine di gennaio mi certo numero a Mons. Caleagnini, a Mons. Spada, al cavaliere Ruspoli, al Ministro d’Olanda, al poeta Keller, o ad altri capaci " di apprezzare il dono»; soggiungendo a Monaldo: «Sento che il conte Perticar!.... ha trovata molto bella la poesia, ma non tanto bella la prosa [della Dedicatoria], e credo cho molti altri pensino nella stessa guisa. Io per me trovo in vero la poesia di una dizione quanto semplice altrettanto sublime.... ma trovo l’argomento più fantastico che reale. Che? forse è con serietà che il nostro Vate richiama l’Italia al secolo di Danto e Petrarca, o a quello di Poliziano, o a quello di Macchiavelli? Quegl’¡stessi Immortali (ancorché le storie posteriori tacessero) ci fan fede in quale stato orribile trovavasi allora la vita sociale in Italia. No no, lodiamo Dio di averci chiamati a vivere in quest’epoca, che è la più felice della nostra, dal suo primo sorgere divisa. Regione». E s’illuse, il buon marchese, di aver tirato alla propria opinione (clic