Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/20

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DI GIACOMO LEOPARDI. XIII Sofista ed altri assai. Più che mirabilissimi i Frammenti ch’egli raccolse di cinquantacinque padri della chiesa. Questi ed altri molti non meno importanti manoscritti filologici egli fidò nel 30, in Firenze, al chiarissimo filologo tedesco Luigi de Sinner, ora professore in Parigi, il quale ha già lasciato pregustarne un piccolo, ma coscienzioso ed accuratissimo, sunto (1): e gli egregi editori parigini del Tesoro di Enrico Stefano usarono volonterosamente di quelle squisite, profonde e peregrine illustrazioni. Gli altri manoscritti di minore importanza sono conservati nella biblioteca paterna (2). A quattordici anni fu preconizzato per un gran portento di sapere dal grande e credibile divinatore degl’ingegni patrii, Pietro Giordani, dal Cancellieri, dal celebre filologo svedese Akerblad; e poscia, di mano in mano, dal Niebhur, dal VValz, dal Thilo, dal Bothe, dal Crenzer, dal Boissonade e da altri innumerabili (3). E chi volesse arrecare tutte le testimonianze che rendettero del suo sterminato sapere i più celebri filoioghi tedeschi, inglesi e francesi, farebbe opera incredibilmente voluminosa. Studiato i greci e i latini, e domandata la misteriosa causa del dolore a tutto l'occidente antico, corse, senza troppo indugiarsi nel medio (dove il dolore non era più mistero) a domandarla all’odierno. Dante e il suo figliuolo Shakspcare risposero finalmente alla sua domanda, e gli dimostrarono l’universo sotto tutto le forme onde interpretava se stesso. Ed allora il Leopardi applicò all’universo il primo elemento del suo proprio ingegno, la sua fantasia; e si rivelò gran poeta. Egli ritrasse le forme di quel mistero, prima dal