Pagina:Leopardi - Operette morali, Milano 1827.djvu/247

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33 DIALOGO a quella velia che io vegga una malvagità che aon possa aver Ihoj o nella natura mia: ma fin qui noti ne ho potuto vedere. F; malmeniti il concetto della vanità delle cose umane, mi riempie cont* (inamente ! animo in modo, che non m risolvo \ mettermi per nesauna di loro in battaglia ; e F ira l'odio m paiono passioni molto maggiori e più fori , che non è conveniente alla tenu tè della vita. Dall’anime di Timone al m*o, vedete che diversità ci corre. T mone, odiando e fuggendo tutti gli altri, amava e accarezzava solo Alcib ade, come causa futura di molti mah alla loro patria comune. Io, senza odiarlo, avrei iiv - io pia lui che gli altri, ammonii 5 < Martini del * pericolo, e confr-r? tati a provvedervi. Alcuni dicono che Timone non odiava -gli uomini , ma le fiere in semb acza umana. Io non odio nè gli uomini nè le fiere. tim. Ma nè anche amate nessuno. eli:. Sentite, amico mio. Sono nato ad amare, ho amato, e 1 irse con tanto affetto quanto può mai cadere n anima viva. O j£ì, benché non sono ancora, come vedete, iti età naturalmente fredda, nè forse anco tepida; non mi vergogno a dire che non amo nessnno, fuorché me stesso^ per necessità di natura, e il meno che mi è possibile. Contut- tociò sono solito e pronto a elej gere di patire •^piuttosto io, che esser cag-ane di pat .mento agli altri. E di questo , per poca notizia che abb ate dei ixiei costumi, credo mi poliate esseri» testimonio. tim. Non ve lo nego. ere. Di luodo che io non lascio di proccurar* , DI TIMANDBO