Pagina:Lettere (Andreini).djvu/115

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LETTERE

rommi, sapendo di non meritarla. Misero me, la bellezza vostra fu ben quella, che destò in me il desiderio, il desiderio destò l’amore, e l’amore la doglia: ma non può già la doglia somministrarmi, come dovrebbe l’ardire, nè l’ardire può impetrarmi pietate, nè la pietà mercede. S’io fossi nato, così al parlare, come al penare, e s’io fossi così meritevole, come son’amante, havrei forse à quest’hora havuto, per ricompensa del mio servire alcun segno desiderato; ma nacqui alle fiamme, e non alle gioie. In oltre pensando alla bassezza de’ miei pochi meriti rimango confuso, e pieno di spavento. Mi sprona ben la fede, e vorrebbe farmi ardita; ma la consideratione, ponendomi avanti à gli occhi, l’altezza dello stato vostro, vuol ch’io tema. Così l’una mi dà speranza, e l’altra disperatione, e perche può molto più in me questa, che quella, mi convien, disperando salute, miseramente tacere, e tacendo sento, che perde il cuore ogni sua forza, s’indeboliscono gli spiriti, l’animo perde l’ardire, e la memoria di tutto si scorda, fuor che della vostra bellezza, e del mio dolore, ilquale può tanto in me, che, se non fosse, ch’io temo, che non s’oscuri lo splendore de’ vostri meriti, col tenebroso velo d’esser chiamata micidiale, vi prometto, che già da me stesso mi sarei tolto da i vivi. Hor’ s’io non muoio, per non darvi titolo di crudele, per qual cagione, non mi togliete voi da morte per acquistarvi nome di pietosa? Deh fatelo Signora mia, perche, se troppo tardate, sarete ben à tempo di pentirvi; ma non già di soccorrermi. Non v’accor-


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