Pagina:Lettere (Andreini).djvu/277

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LETTERE

to amato) ma tutta la Città ne dee far grandissima festa, poich’essendo priva di voi ell’era senza ornamento, e parea, ch’al Sol dispiacesse di rischiararla, non ci essendo quella donna, la cui bellezza è cagione, ch’egli raddoppia i suoi raggi, per meglio vederla. Andavano le stagioni diverse da loro stesse, il giorno pareva tenebrosa notte, la notte sembrava tormentoso inferno, e finalmente ogni cosa non vedendovi era piena di mestitia, e di pianto, sicome nel vedervi è colma d’allegrezza, e di riso. Hora si perde la memoria de’ sofferti martiri, hora si muta la noia in gioia, e la pena in piacere. Voi siete venuta à darci non solamente il sospirato contento: ma quasi quasi l’immortalità; & era ben giusto, & era ben necessario, che dopò tanti affanni, dopò una sì lunga, e lagrimosa solitudine, che poco men che à brutti ci rendea somiglianti, voi tornaste à render à gli spiriti nostri lo smarrito vigore, & alla Città la solita bellezza, & ecco, che voi benigna, e discreta havete restituito non ch’altro la Città alla Città istessa, poich’ella non ci essendo voi, era quasi divenuta un’orrido bosco. Ben havete riportato à questa già dolente Città il giorno. Ella insieme con noi non conosce altro giorno, che la vostra presenza, nè altra notte, che la vostra lontananza: ma sicome infinito è ’l bene, che da voi riceviamo, così bisognerebbe con infinito merito ricompensarlo. Io per me abborrendo accusa d’ingratitudine, son presto à darvi ciò, ch’è in me d’infinito. V’offero dunque, e dono (ò bellissima cagione de’ miei dolori) l’infinito amor mio,


e gli