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D’ISABELLA ANDREINI. 148

chi vostri, quante saette port’io per voi affisse nel cuore, ohime, ch’io muoio, lasso me, che son fatto cenere spirante fuoco, con altre parole tolte in presto dalla fintione, e dalla impossibilità, sieno come adulatori disprezzati. Amor è debile nel suo nascimento, & essendo tale non può con tanta vehemenza tormentar un’anima. Se l’amante eccede la condition dell’amata, ella sarà folle, se vinta dall’ambitione vorrà accettarlo, essendoche questi vorrà tenerla, anzi per ischiava, che per amata, vorrà’, ch’ella si tenga a tanto favorita dall’ombra sua, che non le sia lecito di muover pur un passo senza licenza, e per contrario vorrà poi, ch’à lui sia conceduto, non ch’altro l’amarla, e ’l disamarla à suo piacere, senza, ch’ella sia ardita di muoverne parola, perche à lui non mancherà mai il dire io t’ho nobilitata, io t’ho illustrata, con altre cose durissime a pensare, non che à sopportare. Di minor conditione della sua non sia donna di giuditio, che scielga l’amante; pur troppo è passato in proverbio, che la donna s’appiglia al suo peggio; dicono poi le genti. Forse che la tale non faceva della saputa, hor vedi nobile amante, ch’ella s’hà eletto, veramente degno di lei, godaselo pur senz’invidia. Certi, che si danno ad intendere d’esser amati per obligo, che non concedono la gratia loro, se prima non si viene ad atto di gettarsi dalle finestre, si lascino con pena di non servir ad altro, che al gonfio della loro albagìa. Questi che amano à capricci, c’hanno il furore, e non la ragion per guida si dipennino


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