Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/148

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124 lettere autografe

tanto disbarattato in costa brava, perchè lo più delle volte mena tempesta, o forte tempo. Questo fu di Natività a ora di Messa. Tornai un’altra volta dove che era uscito con molta fatica: e passato l’anno novo tornai a tentare e perfidiare per andare a mio cammino; che ancora mi fusse fatto bon tempo, già aveva li navigli innavicabili e la gente inferma e morta. Il dì della Epifania senza alcuna forza aggionsi a Beragna: qui Iddio mi preparò un fiume sicuro porto: benchè nella intrata non avesse più, che dieci palmi di fondo, con fatica intrai nel ditto fiume. Il dì seguente un’altra volta ritornò la fortuna, qual se mi avesse trovato fuora, non avria possuto intrarvi. Piovette senza mai cessare fino a 14 di Febbraro, che mai avei loco di intrare in la terra, nè pigliare remedio in alcuna cosa. Essendo già sicuro a 24 di Gennaro venne il fiume all’improvviso molto grande e forte, ruppemi le gomene e prese, e poco mancò che non levasse li navigli; e certo io li vedetti in più pericolo che mai. Iddio mi remediò, come sempre fece. Non so sel sia stato alcuno con più martiro, nè più pena della mia. A sei di Febbraro, sempre piovendo, mandai settanta uomini addentro della terra cinque leghe, e trovarono molte minere di oro. Li Indii, cioè quelli due uomini che andavano con loro, gli menarono ad un monte molto alto, e di quivi gli mostrarono in tutte le parti quanto gli occhi potevano vedere, dicendo che in ogni parte vi era oro assai, e che fino al Ponente aggiongevano le minere vinti giornate; e nominavano le terre ville e luoghi, dove più e manco si trovava oro. Da poi intesi io che il Quibian (che così dimandano il Signore della terra) il qual mi aveva dati questi due Indii, gli aveva comandato che mi mostrassero le minere che erano più lontane, e di un altro Signore suo contrario; e che di dentro del suo