Pagina:Libro di sentenze, a cura di Giuseppe Manuzzi, Firenze, Tipografia del Vocabolario, 1863.djvu/35

Da Wikisource.

— 22 —


Colui è povero che si1 crede essere.

Chi è lieto non è povero.

Molto m’è dolce e soave il pensieri degli amici passati e del seculo: abbigli sì come gli dovessi perdere, perdigli sì come sempre gli abbia.

Gloriarsi in riposo è superbia sanza arte.

A’ superbi non è tanta allegrezza vedersi molti dopo sé, com’egli è grave vedersi alcuno innanzi a sé.

Infinchè l’uomo vive tuttavia è da imprendere come viva.

Lo corpo del servo è tenuto al signore, ma lo pensiero è franco.

In borsa piena non cape invidia.

Rimedio delle ingiure è dimenticamento.

Io giudico, lo savio non essere sottoposto a niuna ingiuria.

Se tu non puoi vincere la tua ingiuria, ella vincerà te.

A maggiori cose sono nato, che ad essere servo del mio corpo.

Lo vivere è pensare.

Agli buoni nuoce chi agli rei perdona ingiustamente.

Due volte vince chi sé vince nella vittoria.

Male vive sempre colui, che sempre nel mondo vivere pensa.

Non verdica la pianta che spesso si traspone.

Ninno riposo è piacevole, se non quello che la ragione compone.

La tua conversasione fugga sempre li rei uomini.

Nulla può2 così manifestare lo cuore,3 come lo parlare.

La nobilità guasta chi lo non degno priega.

Non lodare gli altri, acciò che gli altri ti lodino.

La buona oppinione degli uomini è più sicura che

pecunia.

  1. Il T.P. lo.
  2. Il T.P. niente puote.
  3. Il T.P. li cuori.