Pagina:Lippi - Fu il fuoco, o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano, Napoli, Sangiacomo, 1816.djvu/46

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che voglia ammettersi un'alluvione, cagionata da una dirotta pioggia, siccome io penso, e dimostrerò in seguito.

Replico che il rispetto mi fa omettere di analizzare (ciò che altronde resta smentito dalla geologia del luogo) tutto quel che i famosi Accademici Ercolanesi dicono sull'argomento, perché potrei scrivervi un volume.

Devo solo in questo luogo osservare, che non avendo essi potuto immaginarsi essere tutto il circondario d'Ercolano un terreno di alluvioni, conforme vedremo in seguito; e costretti di non ammettere essere venute fuse e liquide in tutto quel tratto di terreno, le materie volcaniche e non volcaniche, che oggi vi vediamo (perché così tutto il tratto suddetto si dovrebbe ora vedere coperto di lave, ciò che non si verifica affatto); i dotti Accademici, i quali da un'altra parte han confuso la pomice e le ceneri volcaniche colle diverse sostanze, dalle quali Ercolano si ritrova coperto, si sono ritrovati nella necessità di supporre esser uscito dal Vesuvio un torrente «infocato bensì, ma non liquido e fuso, che scorrendo giù pel declivio del monte, arrivò sino al mare, cuoprendo Ercolano, ed il suo circondario.»

Per quel che poi riguarda Pompei, gli Accademici Ercolanesi ammettono, con gli antichi scrittori, la pioggia delle ceneri e delle pomici, ch'essi chiamano grandine. Difatti i signori Accademici si esprimono così<ref>Cap. V. §. V. pag. 28. Cum igitur de veterum