Pagina:Lippi - Fu il fuoco, o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano, Napoli, Sangiacomo, 1816.djvu/47

Da Wikisource.

Pompeiorum situ tam certa sint, quam certissima, nostri erat pensi ut investigaremus quousque mare ad urbem adcesserit, et qua parte fluvius praeterfueret, antequam horribilis illa pumicum grando portum, sinumque obcaecaret, et primaevum fluminis alveum ita oppleret, ut porro in humiliorem humum repelleret Scaphatum usque.</ref>: «Tali cose dunque intorno al sito dell'antica Pompei essendo vere, che anzi verissime, era nostro dovere di esaminare, quanto il mare fosse lontano dalla città, e per qual luogo scorreva il fiume prima che quella terribile grandine di pomice avesse ripieno il porto ed il golfo, e prima che col riempimento del primo letto del fiume lo avesse scacciato via in un terreno più basso verso Scafati

Galanti (Descrizione di Napoli e suoi contorni pag. 326) si esprime come segue «La stessa eruzione che abbatté Ercolano, seppellì ancora Pompei [...] Una pioggia dunque di materie, volcaniche cadde inopinatamente su di quella città infelice. Tutti gli abitanti non poterono scappare, poiché in tutte le case si ritrovano, de' scheletri d'uomini e di donne colle anella, pendenti, e braccialetti d'oro.»

Romanelli (Viaggio a Pompei, a Pesto, e ad Ercolano) ch'egli fa stampare adesso che sto scrivendo, in molti luoghi del suo libro ripete la distruzione d'Ercolano e di Pompei dalla pioggia delle ceneri e del lapillo, uniformandosi a tutti gli altri scrittori. Non citerò le sue parole, perché sarei troppo prolisso;