Pagina:Lippi - Fu il fuoco, o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano, Napoli, Sangiacomo, 1816.djvu/88

Da Wikisource.

Questo solo argomento, quindi, dovrebbe bastare, perché i conciliatori delle due opposte opinioni non dovessero più tormentarsi lo spirito in fabbricare ipotesi, invece di rigettarne una, gratuitamente stabilita nell'istoria.

In secondo luogo ammesso anche l'assurdo contrasto de' due elementi, non si può concepire, come abbia potuto uscire dal Vesuvio tanta quantità d'acqua, capace d'allagare e sotterrare non solo le due città, messe alla distanza di nove miglia l'una dall'altra, ma d'inondare, eziandio, tutto questo varato circondario, poiché il medesimo è interamente un terreno di alluvione. Bisognava, perciò, che nell'interno del Vesuvio vi fosse stato un gran lago, e che fosse stato repentinamente vomitato dal volcano. Ma l'acqua, per effetto d'un fuoco così violento, non sarebbe stata più presto convertita in vapore, lanciata precipitosamente nell'atmosfera, e dispersa dai venti, conforme vediamo accadere, allorché si apre il turacciolo della gran caldaja d'una tromba a fuoco, per cacciar fuora il vapore superfluo, che potrebbe far crepare la caldaja istessa col suo elaterio?

Inoltre i diversi strati, che cuoprono Ercolano non si possono affatto spiegare con una sola vomizione d'acqua e di ceneri, seguita dalla bocca del Vesuvio; né in questo caso le materie le più leggieri, come sono le specie 5. 6. 8. e 9. descritte, si ritroverebbero adesso al disotto delle più pesanti. Da quel che ho detto pocanzi si rileva, che la diversità degli strati pietrosi e terrosi, suppone reiterate e consecutive alluvioni. Bisognerebbe, conseguentemente