Pagina:Liriche di Sergio Corazzini, Napoli, Ricciardi, 1935.djvu/87

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Una sera il nostro amico attese inutilmente. Attese fino all’ora delle prime rondini e delle ultime stelle...

Oh, egli ci voleva bene: qualche volta ci parlava a lungo, come in lungo, come in sogno. In sogno parlava. Avanti di dormire, accendeva un piccolo lume giallo, sospeso al muro. Forse aveva paura.

E una così dolce cosa, la paura, appunto perchè è dei fanciulli!


Noi non dormiamo; noi siamo le eterne ascoltatrici, noi siamo il silenzio che vede e che ascolta: il visibile silenzio.


La casa dev’essere molto vasta. Udiamo a tratti delle voci lontanissime e che pensiamo non vengano dalla piccola piazza. Oh, la finestra, se si spalancasse e facesse entrare un poco di sole, un poco di vento! oh, nulla è simile al cuore perduto come il sole che vuole entrare, e tutti i giorni domanda e tutte le sere, triste e bianco, smuore di rinunzia.

Un convento, una chiesa, un lungo muro basso, interrotto da due piccole porte, la cui soglia allora era sempre verde. La neve restava intatta, davanti a quel muro, un tempo interminabile. Il nostro amico diceva che una porta chiusa è figurazione di gran gioia. Noi