Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/131

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 125

era il primo e maggiore desiderio mio, ma era solo senza compagnia di alcuna altra cosa che mi dilettassi; e però grandissima molestia era la mia, e pel numero delle molestie e per la quantitá di esse. Ne truovavo a queste cose migliore rimedio che la privazione sopradetta, perché serravo li occhi, coprendoli con le lacrime e tenendoli fissi a terra, fermando i passi nel vestigio loro, cioè in quella orma nella quale si trovavano, la lingua teneva silenzio ed i pensieri si restrignevano al core. E qui è da notare che questi pensieri s’intendono per la industria, la quale io usavo per trovare la donna mia, pensando quelli modi come piú presto la potessi trovare, a differenza de’ pensieri che diremo, appresso a’ quali in un altro modo e in un altro luogo la cercavano, e, trovandola, di questa sedazione delle operazioni esteriori li pensieri intrinsici e la fantasia ne pigliavan tanto piú forza, quanto piú mancava la distrazione de’ sensi. E però quasi di necessitá i pensieri miei, ristretti al core, contemplavano la donna mia, nel core da Amore scolpita, nel quale la vedevano e bellissima e gentile, come era veramente; ed allora colli occhi de’ pensieri io vagheggiavo il mio cuore bello veramente, essendo in lei scolpito la bella donna mia. Ed era lo imaginare mio sí forte, che, imaginando in me medesimo, quel piacere ricevevo allora, che se li occhi la vera avessino veduta; e, perché una forte imaginazione, se non in molti pochi ed eletti, può poco durare, accorgendomi io di quel dolcissimo inganno, quasi come da un sonno svegliato, trovandomi senza la mia donna, in grandissima passione restavo: per la quale il core si partiva da me, e quasi esanime cosí tacito e solo mi lasciava; perché la bellezza della donna mia, che nel core a’ miei pensieri si mostrava, faceva nascere il desiderio della vera, come dicemo nel comento del sonetto che comincia: «Allor ch’io penso di dolermi», ecc. E quel desiderio faceva non solo i pensieri, ma quasi tutti li spirti miei partire di quella forma imaginata ed ire alla vera, perché i pensieri non potevano stare se non dove era la donna mia; e però stettono tanto in me, quanto in me la vedevano, e, partendosi quella imagine, loro ancora mi abbandonorno. Allora restai né vivo né morto,