Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/167

Da Wikisource.

iii - rime 161

xxi

[Sua sola consolazione è che Amore, quanto gli ha fatto, ha fatto a torto.]


     Lasso, giá cinque corsi ha vòlto il sole,
da poi che Amor ne’ suoi lacci mi tenne,
e ’l pensiero amoroso all’alma venne,
e fa Fortuna pur quel che far suole.
     Pianti, prieghi, sospir, versi e parole,
che non si scriverien con mille penne,
e la speranza che giá il cor sostenne
veggo annullar, come mio destin vuole.
     Né mi resta se non un sol conforto,
perché ogni altro m’induce a bramar morte,
che quanto Amor m’ha fatto, ha fatto a torto.
     Non è al mondo piú felice sorte
a gentil alma, se si vede scorto
aver usate ben l’ore sí corte.


xxii

Sonetto fatto per un certo caso che ogni dí si mostrava in mille modi.


     Fortuna, come suol, pur mi dileggia,
e di vane speranze ognor m’ingombra:
poi si muta in un punto, e mostra ch’ombra
è quanto pe’ mortal si pensa o veggia.
     Or benigna si fa ed ora aspreggia,
or m’empie di pensier, ed or mi sgombra,
e fa che l’alma spaventata aombra,
né par che del suo male ancor s’avveggia.
     Teme, spera, rallegrasi e contrista
ben mille volte il dí nostra natura:
spesso il mal la fa lieta, il bene attrista.
     Spera il suo danno, e del bene ha paura:
tanto ha il viver mortal corta la vista.
Alfin vano è ogni pensiero e cura.


Lorenzo il Magnifico, Opere - i. 11