Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/235

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iii - rime 229

che invan l’altrui fatica goder vuole:
cosí di vari fior, di fronde e d’erba,15
saggia e parca fa il mèl, qual di poi serba,
quando il mondo non ha rose o viole.
     Venne per li occhi pria
nel petto tenebroso
degli occhi vaghi il bel raggio amoroso,20
e destò ciascun spirto che dormiva,
sparti pel petto senza cure ozioso.
Ma, tosto che sen giva
in mezzo al cor la bella luce viva,
gli spirti accesi del bel lume adorno25
corsono al core intorno.
Questa vaghezza alquanto ivi gli tenne:
poi, da nuovo diletto
spinti a veder onde tal luce venne,
dentro all’afflitto petto30
lasciando il cor, che in fiamme è tuttavia,
salîr negli occhi miei, ond’era entrata
questa gentil novella fiamma e grata,
vagheggiando di lí la donna mia.
     Indi, mirando Amore,35
che in quella bella faccia
armato, altèro i duri cor minaccia
da quella luce, e prende la difesa
che a cor gentil e non ad altri piaccia,
lasciâr tristi l’impresa40
di gire al fonte ov’è la fiamma accesa,
e stavansi negli occhi paurosi:
quando spirti pietosi
viddon venir dagli occhi, ove Amor era,
dicendo a’ miei: — Venite45
al dolce fonte della luce vera;
con noi sicuri gite:
se bene incende quel gentil signore,
non arde o a ria morte non conduce,