Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/242

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236 iii - rime

vanno leggieri e pronte,
e grave e carche ritornon di fòre.
     Fermon la picciol’orma30
scontrandosi in cammino; e, mentre posa
l’una, quell’altra informa
dell’altra preda, onde piú disiosa
alla dolce fatica ognor l’invita.
Calcata e spessa è la via lunga e trita.35
E se riporton ben tutte una cosa,
piú cara e piú gradita
sempre è, quant’esser deve
cosa, senza la qual manca la vita.
Lo ingiusto fascio è lieve,40
se il picciolo animal senz’esso more.
     Cosí li pensier miei
van piú leggieri alla mia donna bella:
scontrando quei di lei
fermonsi, e l’un con l’altro allor favella:45
dolce preda, se ben grave, con loro
porton dal caro ed immortal tesoro:
una sempre è, ed è sempre piú bella:
che dal petto decoro
ove Amor, Pietá regna,50
da’ dolenti sospir cacciati fôro.
Quinci s’allegra e sdegna
l’alma ad un tempo, ed ha dolce dolore.
     Ha dolcezza, se sente
Amor Pietá regnar nel bianco seno;55
duolsi l’afflitta mente,
che da’ duri pensier cacciati sièno
i pensier belli, e che dolente e trista
sia per me la mia donna, e cosí mista
doglia e disio fanno un dolce veneno:60
onde o ria vita acquista
o dolce morte l’alma,
che del mal gode e del suo ben s’attrista.