Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/303

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v - ambra 297

24

     Fu da’ primi anni questa ninfa amata
dal suo Lauro gentil, pastore alpino,
d’un casto amor: né era penetrata
lasciva fiamma al petto peregrino.
Fuggendo il caldo, un dí nuda era entrata
nell’onde fredde d’Ombron, d’Apennino
figlio, superbo in vista e ne’ costumi,
pel padre antico e cento frati fiumi.

25

     Come le membra verginali entrorno
nell’acque brune e gelide, sentío,
e mosso dal leggiadro corpo adorno,
della spelonca uscí l’altèro iddio:
dalla sinistra prese il torto corno,
e nudo il resto, acceso di disio,
difende il capo inculto a’ febei raggi,
coronato d’abeti e montán faggi.

26

     E verso il loco ove la ninfa stassi,
giva, pian pian, coperto dalle fronde;
né era visto, né sentire i passi
lasciava il mormorio delle chiare onde.
Cosí vicin tanto alla ninfa fassi,
che giugner crede le sua trecce bionde,
e quella bella ninfa in braccio avere,
e nudo il nudo e bel corpo tenere.

27

     Sí come pesce, allor che incauto cuopra
il pescator con rara e sottil maglia,
fugge la rete, qual sente di sopra,
lasciando, per fuggir, alcuna scaglia;
cosí la ninfa, quando par si scuopra,
fugge lo iddio, che addosso se li scaglia:
né fu sí presta, anzi fu sí presto elli,
che in man lasciolli alcun de’ sua capelli.