Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/22

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16 viii - amori di venere e marte

     Ascondi, Luna, il lucido emispero:25
voi per le selve non latrate, o cani,
sí che d’infamia non si scuopra il vero.
     Vien, lieta notte: e voi, profundi Mani,
scurate l’ora: e tu, figliuol Cupido,
mi do nelle tue braccia, in le tue mani.30
     Con le tue dolci fiamme ardente rido;
fa lume a Marte mio sposo e signore;
tu mi feristi, Amor; di te me fido.
     Marte, se oscure ancor ti paron l’ore,
vienne al mio dolce ospizio, ch’io t’aspetto;35
Vulcan non v’è che ci disturbi amore.
     Vien, ch’io t’invito nuda in mezzo il letto:
non indugiar, che ’l tempo passa e vola:
coperto m’ho di fior vermigli il petto.
     Vienne, Marte, vien via, vien ch’io son sola.40
Togliete i lumi; il mio mai non lo spengo:
non sia chi piú mi parli una parola.

Venuto Marte, parla cosí:


     Non qual nimico alle tue stanze vengo,
Vener mia bella, ma sanz’arme o dardo;
ché contro a’ colpi tua null’arme tengo.45
     Altra cosa è veder un lieto sguardo
d’uno amoroso lume, ovunque e’ vada,
che spada o lancia o vessillo o stendardo.
     «Amor regge suo impero sanza spada»;
coperto no, ma vuole il corpo ignudo,50
dolce contento a seguir quel che aggrada.
     Odil parlar, non dispietato o crudo,
ma dolce in sé, qual di pietá si colga:
e questa l’arme sia, la lancia e ’l scudo.
     Intorno al col suo bianco treccia avvolga,55
degli ardenti amator dura catena
e forte laccio che giamai si sciolga.