Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/67

Da Wikisource.

capitolo v 61

     Della divina infinitá l’abisso
quasi per una nebbia contempliamo,
benché l’alma vi tenga l’occhio fisso;
     ma d’un perfetto e vero amor l’amiamo.
Quel che conosce Dio, Dio a sé tira;65
amando alla sua altezza c’innalziamo.
     A quel per sommo ben la mente aspira,
che la contenta; ma non è contenta,
se solamente Dio riguarda e mira.
     Perché la vision, benché sia intenta,70
che l’anima vedente in sé riceve,
per creata e finita si conventa.
     E cosí esser ne’ suoi gradi deve;
se per potenzia l’anima è finita,
suo operare anco è finito e brieve.75
     Ma l’alma ch’è di questi lacci uscita
sol si contenta interamente, e posa
in cose, le quai sien d’immensa vita;
     e solo è di quel ben volenterosa,
ch’è da Dio conosciuto; e tal disio80
e ’l gaudio d’esso pare immensa cosa;
     però che amando si converte in Dio,
e sopra Dio veduto si dilata. —
Ed io allor ruppi il silenzio mio,
     e dissi: — Sia da te meglio esplicata85
tal cosa, allo intelletto mio confusa
per qualche oscuritá drento al cor nata. —
     Marsilio a me: — Se l’alma è circonfusa
da qualch’error, non me ne meraviglio,
né tu per questo meco ne fa scusa.90
     Mirar non può sí alto il mortal ciglio;
ma io a tua piú intera cognizione
un sensuale esemplo per te piglio.
     Differenzia è da gusto a gustazione:
il gusto è la potenzia del gustare,95
la gustazion per l’atto suo si pone.