Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/161

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di Tito Lucrezio Lib. VI. 147

     1745Di testa anche talor putrido sangue
     Grondar solea dall’opilate nari
     In sì gran copia, che prostrate, e dome
     Dell’infermo le forze, a dileguarsi
     Quindi ’l corpo astringea. Chi poi del tetro
     1750Sangue schivava il gran profluvio, ingombri
     Tosto i nervi, e gli articoli dal grave
     Malor sentiasi; e fin l’istesse parti
     Genitali del corpo. Altri temendo
     Gravemente la morte, il viril sesso
     1755Troncar co ’l ferro: altri restaro in vita
     Privi de’ piedi, e delle mani; ed altri
     Perdean degli occhi i dolci amati lumi:
     Tale avean del morir tema, e spavento;
     E molti ancor della trascorsa etade
     1760La memoria perdean, sicchè se stessi
     Non potean più conoscere. E giacendo
     Qua, e là di cadaveri insepolti
     Smisurate cataste, i corvi, e i cani,
     I nibbj, i lupi non per tanto, e l’altre
     1765Fiere belve, ed augelli, o fuggian lungi
     Per ischifare il lezzo; o tocche appena
     Con l’affamato rostro, o co ’l digiuno
     Dente le carni lor, tremanti al suolo
     Cadeano anch’essi, e vi morian languendo.
     1770Nè però temerario alcun augello
     Ivi ’l giorno apparia; nè dalle selve


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