Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/22

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8 di Tito Lucrezio Lib. V.

     Con orrendo fragor cadere il mondo.
Del che pria ch’io gli oracoli futuri
     180Prenda a svelar molto più santi e certi
     Di quei, ch’è fama che dal sacro Lauro
     Di Febo, e dalle Pitie ampie cortine
     Uscisser già, se no ’l ricusi, io voglio
     Porgerti ’n brevi sì, ma però saggi
     185Detti un lungo conforto; acciò che forse
     Dalla Religion tenuto a freno
     A creder non ti dia, che ’l cielo, il mare,
     La luna, il sole, il terren globo, e tutte
     L’auree stelle vaganti, e gli astri immobili
     190Abbian corpo immortal santo e divino
     E che giusto però sia, che coloro,
     Che del mondo atterrar le mura eccelse
     Co’ gli argomenti lor bramano, e tanto
     Osan che fin d’Apollo i rai lucenti
     195Smorzar vorriano, ed oscurar notando
     Con mortal lingua gl’Immortali e Divi,
     Qual nuovi al ciel nemici empj Giganti,
     Del temerario ardir paghino il fio.
Ma vadan pur sì fatte cose in bando
     200Dalla divina Maestà sì lungi,
     E si stimin sì vili, e tanto indegne
     D’esser ascritte in fra gli eterni Dei,
     Che piuttosto dagli uomini credute
     Sian di moto vital prive, e di senso.